martedì 22 settembre 2015

Tsunami

Una sera di tanto tempo fa, A. chiama per dirmi: «Sabato tieniti libero che andiamo a vedere i Sikitikis»
«E chi cazzo sono?» rispondo io.
Era il periodo che A. scopriva tutti questi gruppi "nuovi" e "strani", mentre io ancora ascoltavo Elettrodomestico dei Punkreas. E sì, avevo già passato da parecchio i 18.
Ma alla fine non era importante. Non è mai stato importante il "dove" o il "come", quanto il "con chi" e il "birre ne abbiamo?"
E così si parte, come è stato da che abbiamo la patente e com'è ancora adesso: in tre sulla Fiesta di A. che dirle "zozza" è farle un complimento, con cui abbiamo girato praticamente mezza Sardegna.
Siamo io, A. che guida (e che nessuno si azzardi a guidare al posto suo) Anto, con il suo fido cappello in testa per nascondere le calvizie e mezza cassa di birra ichnusa. Che la strada da fare è tanta, 150km per arrivare a Oristano e ci vuole qualcosa da bere per il viaggio. C'è sempre voluto qualcosa da bere per il viaggio, sia quando andavamo con la vecchia 500 a Cagliari e anche adesso, che al posto della birra ci facciamo i bibitoni di vodka e coca cola.
Partiamo insolitamente presto, verso le 6 (il concerto era alle 10 "trattabili", visto che qui in Sardegna l'orario è sempre indicativo) perché Anto rompe il cazzo "Così possiamo sdraiarci prima del concerto", dice lui e insolitamente organizzati (ché anche dopo tutti questi anni di zingarate, riusciremmo a fare tardi pure al nostro funerale) con Anto che ha la borsa frigo e le birre, A. che ha fatto benzina ed io che non ho fatto un cazzo.
All'altezza di Bonorva, ovvero a metà percorso, la metà cassa di birra ci saluta perché ce la siamo scolata tutta e urge correre ai ripari: non ci si può interrompere con mezza ubriacatura, quando ci sono ancora una settantina di chilometri da percorrere. Facciamo quindi una deviazione a Macomer, entriamo nel primo Sisa aperto e compriamo un'altra mezza cassa di birra che ci permetterà di arrivare a Oristano mezzi storti; cerchiamo il locale dove si terrà il concerto e ci sdraiamo qualche ora in macchina.
Verso le 9 entriamo dentro, paghiamo il biglietto e incontriamo L., che arriva da Siniscola e con cui abbiamo appuntamento. Inizia il giro di cocktail; all'epoca eravamo fissati a bere Long Island e ce ne scoliamo due a testa, ché la sete è prepotente e bisogna riacchiappare in qualche modo la mezza accensione del viaggio.
Il concerto inizia, ma io sono impegnato a scrivere messaggi con la mia ragazza di allora e, complice anche il quarto o quinto cocktail, non è che sono proprio lucido.
Poi non conosco manco una canzone e quindi di pogare non c'è proprio voglia.
Con l'ennesimo drink in mano, mi avvicino al palco e il gruppo inizia a suonare una canzone.
Il cantante si mette a petto nudo, scoprendo i tatuaggi che sembrano volergli scappare dal corpo e parte il testo.
"Quando l'ha incontrato, quando è stata vicino a lui, quando ha sentito il terremoto, non poteva pensare a me"
Sento questa frase, che mi colpisce come un pugno allo stomaco.
"Non poteva farsi venire i sensi di colpa, mi trema la voce mi trema il pensiero e CADE L'INTONACO DEL MIO PALAZZO SULLE MACCHINE!"
Sono lì, inebetito, mentre tutta la sala inizia a saltare, a urtarsi e a urtare; a cantare, a ballare e a baciarsi. Io lì, fermo, con quella che doveva sicuramente essere la faccia di un pazzo.

Poteva essere una qualsiasi canzone, di un qualsiasi concerto, di un posto qualsiasi. E invece fu proprio lì, con una sbronza da schifo in corpo e un cocktail nella mano che sentii Tsunami per la prima volta. 

La ascolto tutta, attentamente, assaporo il testo come fosse un pezzo di vita che mi scorre davanti, un cazzotto dritto nella testa.
"Ragazzo forte non piangere, niente può fare più male di così. Quando sei triste, fai come me, il mondo in ginocchio... e noi a ridere."

La canzone finisce, il cantante dice qualche parola, ma io non lo ascolto: il pezzo è finito, la magia è finita e io torno dietro, a ordinare qualcosa da bere.
Qualche minuto dopo, dovrò correre fuori per vomitare anche l'anima, ma le due cose non sono collegate.

Quella serata finì con una vomitata, una marea di alcool e noi, di ritorno da Oristano, che prendiamo le vie più stronze per colpa del navigatore satellitare, che ci fa percorrere tutti e dico, tutti i paesini costieri. Ho questo vivido ricordo di me che a un certo punto mi sveglio in macchina, mi guardo attorno e siamo fermi di fronte a un cartello stradale.
«A. ma dove cazzo siamo?»
«NON LO SO! NON LO SO!!!»

Passano alcuni anni e io mi sono appena mollato con la mia fidanzata, sono in auto e ascolto praticamente in loop Tsunami. È l'unica cosa che le mie orecchie riescono a tirare giù, mentre ripenso a quello che è successo con quella che è la mia (appena) ex e di come sia del tutto simile al testo di Tsunami. Perché anche lei, certamente non poteva pensare me, ne farsi venire alcun senso di colpa.
E quindi eccomi qui che ascolto Tsunami, cercando di trovare la forza di ridere mentre tutto il mondo, il mio mondo, è a pezzi, disintegrato.
Ed io rido come un coglione.

Passano ancora gli anni e ora so chi sono i Sikitikis: dopo quella serata ad Oristano presi il loro album e lo ascoltai tutto e così feci con i precedenti e i successivi e quando sono in zona, non mi perdo un loro concerto.

Qualche mese fa, eravamo al solito circolo preso in gestione da Anto che, per finire la stagione invernale, ingaggia Diablo, ovvero il cantante dei Sikitikis. Chiaro che ci dobbiamo essere anche noi, possibilmente ubriachi come al solito.
Fa una bella serata Alessandro (questo il suo vero nome) e, a fine concerto, complice una sbronza imperante (ché senza coraggio liquido non mi sarei mai avvicinato), mi accosto da lui per scambiarci due chiacchere.
È un ragazzo alla mano, parliamo del più e del meno, mentre una tipa cerca di...boh probabilmente provarci. Con lui, non con me.
Gli racconto questa storia, la mia storia, di come ho conosciuto i Sikitikis e di come Tsunami mi abbia aiutato davvero in quel periodo di merda, quando una delle mie ex mi mise le corna mentre era in vacanza.
Gli racconto questa storia e poi concludo: "Tsunami era l'unica canzone che riuscivo ad ascoltare e che riusciva a risollevarmi il morale; è per questo che, quando verrete qua in zona, io ci sarò anche solo per un saluto, ve lo devo."
Lui mi ascolta, forse pensa che lo prenda per il culo, poi sembra vagamente imbarazzato e probabilmente un po' lusingato e mi ringrazia; mi ringrazia perché, dice, è il complimento migliore che gli potessi fare. Mi ringrazia perché gli fa davvero piacere e si vede, che una sua canzone mi abbia colpito così a fondo.




Il mondo in ginocchio e noi a ridere.

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